Le spese di sponsorizzazione sono sempre deducibili anche in assenza di un’utilità e/o vantaggio per l’incremento dell’attività imprenditoriale di Maurizio Villani

La Corte di Cassazione sezione V, con l’ordinanza n. 30024 del 26 ottobre 2021, ha stabilito un importante principio di diritto, su cui vale la pena soffermarsi, riguardante il tema delle spese di sponsorizzazione e della loro deducibilità che deve esse sempre riconosciuta anche in assenza di un’utilità e/o vantaggio.

Ebbene, i giudici di legittimità con la suddetta ordinanza hanno finalmente compiuto un passo importante e soprattutto innovativo in tema di deducibilità dei costi di sponsorizzazione, superando quella precedente concezione dell’inerenza c.d. quantitativa, cioè correlata ad una valutazione in termini di utilità o congruità della spesa, ed accogliendo, invece, una nuova concezione dell’inerenza c.d. qualitativa, e cioè correlata alla riferibilità dei costi sostenuti all’attività d’impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura.

In sostanza, per i giudici di legittimità l’inerenza dei costi deve essere sempre apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio che attengono, invece, ad un giudizio di tipo quantitativo.

Pertanto, quando i costi di sponsorizzazione, ancorché non abbiano apportato un’utilità e/o vantaggio per l’incremento dell’attività imprenditoriale, secondo un approccio di tipo quantitativo, sono sempre e comunque deducibili dall’impresa sponsor se inerenti alla propria attività, anche solo in via indiretta, in base alla nuova declinazione qualitativa del concetto di inerenza.

Al fine di comprendere meglio l’importante pronuncia di legittimità, si ritiene opportuno fare un passo indietro e analizzare brevemente l’istituto della sponsorizzazione che, come affermato nella risoluzione del 14 novembre 2002, n. 356/E, è “un contratto bilaterale a prestazioni corrispettive, in base al quale il soggetto sponsorizzato o sponsee si obbliga nei confronti dello sponsor ad effettuare determinate prestazioni pubblicitarie dietro versamento di un corrispettivo che può consistere in una somma di denaro, in beni o servizi, che lo sponsor deve erogare direttamente o indirettamente”.

L’Agenzia delle Entrate e la dottrina prevalente ritengono, correttamente, che le spese di sponsorizzazione devono avere lo stesso trattamento di quelle di pubblicità, a condizione che il loro scopo sia quello di reclamizzare un prodotto commerciale oppure il nome o il marchio dell’impresa e che siano corrisposte a fronte di un obbligo sinallagmatico del soggetto beneficiario.

Il caso posto all’attenzione dei Giudici di legittimità trae origine da un ricorso avanzato dall’Agenzia delle Entrate che contestava la deducibilità dei costi di sponsorizzazione di una società che, al fine di reclamizzare un marchio di cui era anch’essa titolare, aveva stipulato un contratto di sponsorizzazione in occasione di gare automobilistiche.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso dell’Ufficio, ha ricordato che con riguardo ai costi di sponsorizzazione essi «sono deducibili dal reddito di impresa ove risultino inerenti all’attività della stessa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, esclusa ogni valutazione in termini di utilità o vantaggio».

In particolare, la pronuncia ha evidenziato che le prestazioni di sponsorizzazione erano state correttamente documentate dalla società contribuente anche a mezzo di fatture e fotografie, che i costi erano inerenti alla propria attività imprenditoriale, anche in virtù degli «importanti elementi di visibilità» di cui avrebbe goduto ex contractu, e che la diminuzione del fatturato, così come contestata dall’Ufficio, era invece dovuta alla notoria crisi economica.

Tutto ciò, in conformità del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, “l’esclusione della deducibilità dei costi sostenuti per le gare sportive svoltesi all’estero è illogica, atteso che i costi di sponsorizzazione si traducono per lo sponsor in una forma di pubblicità indiretta, consistente nella promozione del marchio e del prodotto che si intende lanciare sul mercato e l’inerenza va rapportata all’attività svolta dall’impresa”

Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato l’illegittimità della contestazione dell’Ufficio, con un’importante condanna alle spese di giudizio.

Sullo stesso orientamento giurisprudenziale, si segnala anche l’ordinanza n. 24856/2021 della Corte di Cassazione che, sempre in tema di deducibilità dei costi di sponsorizzazione, ha ribadito che il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo.

Ebbene, alla luce di quanto sopra esposto, è indubbio che l’obiettivo dell’Amministrazione è quello di massimizzare le condizioni di opinabilità interpretativa di quei contesti normativi dubbi, come appunto l’inerenza dei costi. Tuttavia, si deve ricordare che la legislazione in materia di reddito d’impresa, così come è scritta, può prevedere limitazioni, esclusioni parziali, condizioni particolari, certamente con lo spirito di evitare abusi, ma non può mai arrivare ad escludere aprioristicamente e totalmente la deduzione di un componente negativo di reddito, sostenuto nell’esercizio di un’attività imprenditoriale se regolarmente documentato e se sono rispettati i principi fondamentali della competenza, dell’oggettiva determinazione o presumibile determinabilità dell’onere, e quello di inerenza ancor più se dimostrata: perché questo non è scritto in nessuna norma, tanto meno nel Tuir.

Quella riguardante la pubblicità è una scelta dell’imprenditore cui non può automaticamente conseguire l’indeducibilità del costo. Ciò significa, infatti, che non si può avere alcuna certezza sui maggiori ricavi conseguibili, tanto più che il riscontro sui risultati raggiunti è possibile solo a posteriori, quando cioè l’esercizio è già concluso. Va da sé, quindi, che anche un’errata valutazione dell’imprenditore sulla forma pubblicitaria scelta, non si può certo sanzionare con l’indeducibilità fiscale.

Da ultimo, per una buona difesa del contribuente oltre alle suddette condivisibili sentenze della Corte di Cassazione, si consiglia sempre di allegare la documentazione quale ad esempio foto di eventi, di striscioni, di tabelloni ecc. che dimostrino le modalità di esecuzione della sponsorizzazione/pubblicità ovvero come è stato eseguito il contratto. Tale contratto, poi, deve contenere in modo accurato e preciso gli accordi, le prestazioni da eseguire, i tempi, le modalità e le tariffe. Utile alla congruità del costo è la verifica delle tariffe ordinariamente applicate sul mercato per ciascuna prestazione pubblicitaria. Infine è opportuno provare il concreto sostenimento del costo laddove è necessario un metodo di pagamento tracciabile ovvero assegni, ricevute bancarie, bonifici escludendo i contanti.

Lecce, 29 novembre 2021                                                         

Avv. Maurizio Villani

 Avv. Alessandro Villani

AVV. MAURIZIO VILLANI

Avvocato Tributarista in Lecce

Patrocinante in Cassazione

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