E’ noto che “Un atto legittimamente assunto in sede penale – nella specie, sommarie informazioni testimoniali della Guardia di Finanza ed intercettazioni telefoniche – e trasmesso all’amministrazione tributaria entra a far parte, a pieno titolo, del materiale probatorio che il giudice tributario di merito deve valutare, così come previsto dall’art. 63 del D.P.R. n. 633 del 1972; tale norma, infatti, non contrasta né con il principio di segretezza delle comunicazioni di cui all’art. 15 Cost., perché le intercettazioni che hanno permesso il reperimento dell’atto sono autorizzate da un giudice, né con il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., perché, se è vero che il difensore non partecipa alla formazione della prova, è anche vero che nel processo tributario l’atto acquisito ha un minor valore probatorio rispetto a quello riconosciutogli nel processo penale” (Cass. n. 2916/2013) e che “In tema di violazioni IVA oggetto di accertamento nell’ambito dell’attività di polizia tributaria, le dichiarazioni rilasciate da terzi, le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società, gli atti trasmessi dalla Guardia di Finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione dei verbali redatti a seguito d’intercettazioni telefoniche disposte in sede penale, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza” (Cass. n. 4306/2010).
In materia tributaria, gli elementi raccolti a carico del contribuente dai militari della Guardia di Finanza senza il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale non sono inutilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale, stante l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello di accertamento tributario, secondo un principio, oltre che sancito dalle norme sui reati tributari (art. 12 del d.l. n. 429 del 1982, successivamente confermato dall’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000), desumibile anche dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p. ed espressamente previsto dall’art. 220 disp. att. c.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale quando, nel corso di attività ispettive, emergano indizi di reato ma soltanto ai fini dell’applicazione della legge penale (Cass. n. 28060/2017).
Acclarata, dunque, la piena utilizzabilità nel processo tributario (seppur con valenza indiziaria), delle dichiarazioni di terzi assunte dalla G.d.F. e delle intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte in un procedimento penale, ne discende che alcuna violazione può configurarsi sia in relazione al profilo dell’onere della prova sia riguardo al principio di parità delle armi o del giusto processo.
Non v’è, infatti, violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto il giudice non ha riversato l’onere della prova sulla parte non tenutavi per legge, ma ha solo utilizzato detti elementi, in chiave indiziaria, risalendo dai fatti noti al fatto ignoto, secondo il tipico procedimento inferenziale previsto dagli artt. 2727 ss. c.c..
Neanche può riscontrarsi violazione dei principi suddetti, e in generale del diritto di difesa, giacché la prospettiva in cui si muove la doglianza in discorso (che postula la necessità di sottoporre le dichiarazioni dei terzi al vaglio di attendibilità da parte del giudice, nel contraddittorio tra le parti) trova il proprio humus nell’ambito delle garanzie del procedimento penale, garanzie pur presenti nel processo tributario, ma attraverso una differente declinazione.
Basti qui richiamare il consolidato orientamento secondo cui “In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (così, Cass. n. 17619/2018).
E’ ormai principio consolidato della Corte di Cassazione quello secondo cui “In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà ed insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia” (così, ex plurimis, Cass. n. 23940/2017; v. anche Cass., Sez. Un., n. 8053/2014; Cass. n. 32185/19).
Vale la pena di evidenziare che, ancora di recente (Cass. n. 9059/2018) è stato ribadito che “In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi.
Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento”.
Del resto, può al riguardo farsi riferimento anche al recente insegnamento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 1785/2018, che (in motivazione) ha così statuito: “la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ., suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza.
Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi”.
Lecce, 04 luglio 2020
AVV. MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione