di Maurizio Villani e Federica Attanasi – Studio Legale Tributario Villani
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. 2. Riferimenti normativi. 2.1 Le novità in materia di reverse charge: DL 21 giugno 2022, n. 73 (in fase di conversione) e DL 26 ottobre 2019, n. 124 (convertito in legge, con modifiche, dalla L. 19.12.2019, n. 157). 3. Modalità di fatturazione. 4. Aspetti sanzionatori. 5. Il reverse charge e le pronunce della Corte di Giustizia Europea. 6. La giurisprudenza della Corte di Cassazione.
- CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
Il reverse charge è un particolare metodo di applicazione dell’IVA che consente di effettuare l’inversione contabile della suddetta imposta direttamente sul destinatario della cessione del bene o della prestazione di servizio, anziché sul cedente.
Solitamente, in una transazione tra due soggetti, ai fini IVA, il fornitore applica l’aliquota in fattura addebitandone il pagamento al cliente e successivamente contribuendo la somma allo Stato.
Quindi, di regola, è il cedente/prestatore a emettere la fattura e ad addebitare l’Iva, ma tanto non avviene nelle speciali ipotesi di reverse charge ove è il cessionario/utilizzatore del servizio a dover emettere un’autofattura da registrare sia nel registro Iva delle fatture emesse, che in quello degli acquisti.
In buona sostanza, l’inversione contabile è una deviazione alla normale contribuzione dell’IVA e prevede che sia il committente del servizio a pagare direttamente l’IVA in luogo del fornitore.
L’effetto fondamentale del reverse charge è, dunque, lo spostamento del carico tributario IVA dal venditore all’acquirente, con conseguente pagamento dell’imposta da parte di quest’ultimo: l’onere IVA si sposta, pertanto, dal cedente al cessionario nel caso di cessione di beni e dal prestatore al committente nel caso di prestazioni di servizi.
- RIFERIMENTI NORMATIVI
Ai fini Iva, il principio di carattere generale in ordine alle cessioni di beni e/o prestazioni di servizi imponibili in regime interno è che il debitore d’imposta è colui il quale, nell’esercizio di impresa, arti o professioni, effettua operazioni rilevanti nel territorio dello Stato. Ciò in linea con quanto stabilito dall’art. 17, comma 1, Dpr n. 633/1972, nonché dalla direttiva n. 2006/112/Ce.
In deroga, tuttavia, a detto principio, per alcune operazioni è previsto che il debitore d’imposta sia il soggetto passivo nei confronti del quale tali operazioni vengono effettuate, attraverso il metodo dell’inversione contabile Iva (reverse charge o comunemente conosciuto anche come “tax shift” o “self-assessment”).
Orbene, il reverse charge è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 7/2000, in attuazione di quanto disposto dalla direttiva 98/80/CE, concernente il regime Iva applicabile all’oro. Nello specifico, tale legge, che ha modificato il Dpr n. 633/1972 introducendo il comma 5 dell’art. 17 del citato decreto Iva, ha previsto l’applicazione del metodo dell’inversione contabile alle cessioni di oro industriale e, nel caso di opzione per il regime d’imponibilità, a quelle di oro da investimento effettuate da soggetti che lo producono.
Già con la menzionata dir. 98/80/CE è stata sottolineata l’utilità del meccanismo del reverse charge ai fini della prevenzione delle frodi fiscali e, di fatto, nell’ambito delle operazioni nazionali, il meccanismo del reverse charge viene tuttora utilizzato come strumento di contrasto alle frodi. Ciò, in quanto attraverso il suo utilizzo l’Iva relativa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi effettuata non viene materialmente versata dall’acquirente e l’operazione viene, quindi, resa completamente neutra dal punto di vista contabile.
Pertanto, il meccanismo di inversione contabile dell’IVA è nato come strumento finalizzato alla lotta contro le frodi, in modo da impedire che chi effettua la cessione di un bene e chi lo acquista, non versi l’imposta di valore aggiunto o ne chieda il rimborso all’Erario. Infatti, trasferendo il compito dell’assoluzione del pagamento dell’Iva sul destinatario, l’Erario ha una maggiore possibilità di controllo sugli adempimenti.
Nei rapporti intracomunitari, invece, lo scopo della diffusione di questo sistema è stato quello di evitare la detrazione di Iva applicata da fornitori esteri e incassata, quindi, da Stati esteri: in questo caso, infatti, la gestione delle detrazioni Iva transnazionali richiederebbe una stanza di compensazione comunitaria, che non è stata mai realizzata.
Tanto premesso occorre chiarire che la norma di riferimento è l’art. 17, commi 5, 6, 7, 8 e 9, D.P.R. n. 633/1972, rubricato “debitore di imposta” (c.d. «decreto IVA»), che testualmente dispone:
<< 5. In deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l’annotazione “inversione contabile” e l’eventuale indicazione della norma di cui al presente comma deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all’articolo 25.
- 6. Le disposizioni di cui al quinto comma si applicano anche:
- a) alle prestazioni di servizi diversi da quelli di cui alla lettera a-ter), compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore. La disposizione non si applica alle prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori.
a-bis) alle cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato di cui ai numeri 8 -bis) e 8 -ter) del primo comma dell’articolo 10 per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;
a-ter) alle prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici;
a-quater) alle prestazioni di servizi rese dalle imprese consorziate nei confronti del consorzio di appartenenza che, ai sensi delle lettere b), c) ed e) del comma 1 dell’articolo 34 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, si è reso aggiudicatario di una commessa nei confronti di un ente pubblico al quale il predetto consorzio è tenuto ad emettere fattura ai sensi del comma 1 dell’articolo 17-ter del presente decreto. L’efficacia della disposizione di cui al periodo precedente è subordinata al rilascio, da parte del Consiglio dell’Unione europea, dell’autorizzazione di una misura di deroga ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, e successive modificazioni.
a-quinquies) alle prestazioni di servizi, diverse da quelle di cui alle lettere da a) ad a-quater), effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma. La disposizione del precedente periodo non si applica alle operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e società di cui all’articolo 11-ter e alle agenzie per il lavoro disciplinate dal capo I del titolo II del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;[1]
b) alle cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative di cui all’articolo 21 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641come sostituita, da ultimo, dal decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 303del 30 dicembre 1995;
c) alle cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale;
[d) alle cessioni di materiali e prodotti lapidei, direttamente provenienti da cave e miniere.][2]
d-bis) ai trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra definite all’articolo 3 della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, e successive modificazioni, trasferibili ai sensi dell’articolo 12 della medesima direttiva 2003/87/CE, e successive modificazioni
d-ter) ai trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla citata direttiva 2003/87/CE e di certificati relativi al gas e all’energia elettrica;
d-quater) alle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo-rivenditore ai sensi dell’articolo 7-bis, comma 3, lettera a);
[d-quinquies) alle cessioni di beni effettuate nei confronti degli ipermercati (codice attività 47.11.1), supermercati (codice attività 47.11.2) e discount alimentari (codice attività 47.11.3);][3]
- Le disposizioni del quinto comma si applicano alle ulteriori operazioni individuate dal Ministro dell’economia e delle finanze, con propri decreti, in base agli articoli 199 e 199-bis della direttiva 2006/112/CEdel Consiglio, del 28 novembre 2006, nonché in base alla misura speciale del meccanismo di reazione rapida di cui all’articolo 199-ter della stessa direttiva, ovvero individuate con decreto emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nei casi, diversi da quelli precedentemente indicati, in cui necessita il rilascio di una misura speciale di deroga ai sensi dell’articolo 395 della citata direttiva 2006/112/CE.
- Le disposizioni di cui al sesto comma, lettere b), c), d-bis), d-ter) e d-quater), del presente articolo si applicano alle operazioni effettuate fino al 31 dicembre 2026.[4]
- Le pubbliche amministrazioni forniscono in tempo utile, su richiesta dell’amministrazione competente, gli elementi utili ai fini della predisposizione delle richieste delle misure speciali di deroga di cui all’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE, anche in applicazione del meccanismo di reazione rapida di cui all’articolo 199-ter della stessa direttiva, nonché ai fini degli adempimenti informativi da rendere obbligatoriamente nei confronti delle istituzioni europee ai sensi dell’articolo 199 -bis della direttiva 2006/112/CE.>>
Ebbene, analizzando la suddetta norma emerge come il reverse charge (esteso dall’art. 22 del D.L. n. 73/2022, fino al 31 dicembre 2026, in luogo del 30 giugno 2022), rappresenti quel meccanismo tecnico contabile per effetto del quale:
- il venditore emette fattura senza addebitare l’imposta (come normalmente dovrebbe fare);
- l’acquirente integra la fattura ricevuta con l’aliquota di riferimento per il tipo di operazione fatturata e, allo stesso tempo, procede con la duplice annotazione nel registro acquisti (fatture di acquisto) e nel registro vendite (fatture emesse).
I SETTORI INTERESSATI
– edilizia; – prodotti elettronici (ceduti nella fase distributiva che precede il dettaglio); – oro; – rottami; – gas – energia (escluso gpl) |
2.1 LE NOVITÀ IN MATERIA DI REVERSE CHARGE: DL 21 GIUGNO 2022, N. 73 (in fase di conversione) E DL 26 OTTOBRE 2019, N. 124 (convertito in legge, con modifiche, dalla l. 19.12.2019, n. 157).
L’art. 22 del DL 21 giugno 2022 n. 73 (in fase di conversione), c.d. “Decreto semplificazioni”, è intervenuto anche in materia di inversione contabile, operando una modifica al co. 8, dell’art. 17, DPR n. 633/1972, prorogando il termine per l’applicazione facoltativa del reverse charge al 31 dicembre 2026.
Del resto, tanto risulta coerente con quanto previsto dalla più recente evoluzione della normativa europea e, dunque, dalla direttiva n. 2022/890, che ha prorogato il termine per l’applicazione facoltativa del reverse charge al 31 dicembre 2026.
La misura allinea al nuovo termine Ue la possibilità di avvalersi dell’inversione contabile per le operazioni elencate all’articolo 17, co. 6 del Dpr 633/1972, alle lettere b), c), d-bis), d-ter) e d-quater). Si tratta quindi:
- delle cessioni di telefoni cellulari (“apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazione soggette alla tassa sulle concessioni governative”), con esclusione dei componenti e accessori per i telefoni cellulari;
- delle cessioni di dispositivi a circuito integrato,quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale; da questa categoria vanno esclusi i computer quali beni completi e i loro accessori;
- delle cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop;
- dei trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serratrasferibili (articolo 3 della Direttiva 2003/87/CE);
- dei trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla citata Direttiva 2003/87/CE e di certificati relativi al gas e all’energia elettrica;
- delle cessioni di gas e di energia elettricaa un soggetto passivo-rivenditore.
Tanto chiarito, occorre rilevare che anche il c.d. Decreto fiscale 2020 (D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito in legge, con modifiche, dalla L. 19.12.2019, n. 157) è intervenuto sulla materia confermando una delle misure più discusse degli ultimi tempi: l’estensione del reverse charge ad appalti e subappalti che prevedono l’utilizzo di manodopera.
Più nel dettaglio, l’ipotesi introdotta nell’art. 17, co. 6, del D.P.R. 633/1972 con la nuova lett. a-quinquies riguarda le prestazioni di servizi « alle prestazioni di servizi, diverse da quelle di cui alle lettere da a) ad a-quater), effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma. La disposizione del precedente periodo non si applica alle operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e società di cui all’articolo 11-ter e alle agenzie per il lavoro disciplinate dal capo I del titolo II del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276».
Trattasi, quindi, di un’ipotesi di reverse charge per gli appalti ad alta intensità di manodopera presso la sede del committente. L’inversione contabile in materia di Iva è stata, quindi, anche estesa alle prestazioni effettuate mediante contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, che vengano svolti con il prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente e con l’utilizzo di beni strumentali di sua proprietà o ad esso riconducibili (articoli 1655 e 2222 del Codice civile).
L’ambito oggettivo viene comunque ridotto e circoscritto dal sussistere dalla prevalenza di utilizzo della manodopera presso la sede di attività del committente. La disposizione aggiunge anche la condizione di utilizzare mezzi strumentali di proprietà del committente o, al fine di evitare elusioni, che siano ad esso riconducibili in qualunque forma. Pertanto, affinché si applichi il reverse charge è necessario che il prestatore non abbia beni strumentali propri, ma utilizzi quelli del committente o quelli riconducibili al committente in qualunque forma; tale situazione si verifica quando il committente fornisce, mediante contratto di comodato o di affitto di ramo di azienda, le strutture necessarie per l’opera.
In sostanza, dalla lettura della norma se ne deduce che, se le attrezzature necessarie per lo svolgimento dell’appalto sono di proprietà del committente (o sono da questi concesse in comodato o locate o noleggiate all’appaltatore), si rientra nel campo di applicazione del reverse charge; se, invece, le attrezzature sono di proprietà effettiva dell’appaltatore, l’operazione rientrerebbe nella regola generale di applicazione dell’Iva.
Tuttavia, trattandosi di una misura in deroga rispetto alla Dir. 2006/112/CE del 28.11.2006, la definitiva efficacia della succitata disposizione è stata subordinata al rilascio di un’autorizzazione da parte del Consiglio dell’Unione europea.
Più specificamente, la Commissione UE, tramite il documento COM (2020) 243 final del 22 giugno 2020 trasmesso al Consiglio UE, ha negato all’Italia l’applicazione del meccanismo del reverse charge per le prestazioni di servizi nell’ambito di appalti e subappalti con prevalente utilizzo di manodopera.
Precisamene, secondo la Commissione UE: “l’introduzione di un ulteriore regime speciale nell’ordinamento italiano porterebbe ad un maggior disallineamento con la normativa comunitaria, nonché ad una serie di oneri di carattere amministrativo in capo ai singoli operatori coinvolti, i quali sarebbero tenuti preventivamente a verificare il corretto trattamento IVA da riservare all’operazione da porre in essere, con conseguente rischio di incremento di errori, controversie e sanzioni.
Pertanto, considerato che l’estensione del meccanismo del reverse charge anche alle prestazioni di appalto e subappalto con prevalente impiego di manodopera avrebbe potuto compromettere il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, il disposto dell’art. 17, comma 6, lett. a-quinquies non troverà applicazione.
Viceversa, esito positivo è stato riscontrato con riferimento alla richiesta di proroga inviata dall’Italia per poter continuare ad applicare il regime dello split payment dal 30 giugno 2020 al 30 giugno 2023, la quale è stata approvata dalla Commissione UE tramite il documento COM (2020) 242 final al Consiglio del 22 giugno 2020. Avendo poi il Consiglio raggiunto un accordo politico su tale proposta, si resta in attesa della pubblicazione dell’autorizzazione sulla Gazzetta Ufficiale UE.”
In definitiva, la Commissione UE, con la comunicazione COM (2020) 243, inviata il 22 giugno scorso al Consiglio dell’Unione europea:
- da un lato, si è dichiarata contraria alla richiesta del Governo italiano di estendere il meccanismo dell’inversione contabile dell’IVA negli appalti e subappalti con prevalente impiego di manodopera, introdotto dal D.L. n. 124 del 26 ottobre 2019 all’articolo 17, comma 6, lett. a-quinquies del D.P.R. n.633/72 (la Commissione ha osservato che all’Italia sono state già rilasciate 2 misure significative di carattere generale per contrastare le frodi IVA: il meccanismo dello split payment sulle forniture alla PA e l’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica (sino al 31 dicembre 2021) e, per tale ragione, un’ulteriore deroga, quale quella richiesta per le forniture di manodopera, avrebbe aggravato la disarmonia tra il sistema dell’IVA italiano e quello dell’Unione europea);
- dall’altro, ha previsto di estenderne l’applicazione dello split payment fino al 30 giugno 2023, rimanendo invariato l’ambito di applicazione.
- MODALITÀ DI FATTURAZIONE
Il reverse charge, inteso come inversione dell’onere tributario, è, dal punto di vista operativo, ripartibile in due filoni:
- a) quello che prevede l’emissione di una autofattura da parte del committente/cessionario e doppia annotazione della medesima nel registro delle fatture/corrispettivi e nel registro degli acquisti;
- b) quello che richiede la ricezione della fattura del fornitore senza Iva e la successiva integrazione di quest’ultima, da parte del committente/cessionario, con l’imposta e la doppia annotazione della medesima nel registro delle fatture/corrispettivi e in quello degli acquisti.
Nella prima ipotesi, l’acquirente emette un documento ad hoc (c.d. “autofattura”) in sostituzione di colui che sarebbe chiamato a emettere fattura.
Nel secondo caso, invece, il comportamento posto in essere dall’acquirente è soltanto quello di integrare un documento già esistente, aggiungendo l’Iva secondo l’aliquota di appartenenza.
Ecco che avviene il rovesciamento dei ruoli, perché chi acquista un bene o servizio diventa automaticamente e obbligatoriamente soggetto passivo dell’imposta.
In tema di autofattura, di notevole rilevanza è stato l’intervento dell’Agenzia delle Entrate che, con la Circolare 14/E del 17/06/2020 ha chiarito che: << L’“autofattura” vera e propria è quel documento, contenente i medesimi elementi di una “normale” fattura che se ne differenzia in quanto:
- a) l’emittente non è il cedente/prestatore, ma il cessionario del bene ovvero il committente del servizio che assolve l’imposta (ed è dunque obbligato a liquidare l’IVA) in sostituzione del primo;
- b) cedente/prestatore e cessionario/committente coincidono in un unico soggetto, ovvero l’operazione è a titolo gratuito (cfr. l’articolo 2, comma 2, del decreto IVA).
Rientrano nell’ipotesi sub a), ad esempio:
– per quanto riguarda le operazioni effettuate da soggetti stabiliti o residenti in Italia, gli acquisti da produttori agricoli ex articolo 34, comma 6, del decreto IVA, i compensi corrisposti agli intermediari per la vendita di documenti di viaggio da parte degli esercenti l’attività di trasporto (cfr. il decreto ministeriale 30 luglio 2009) e la regolarizzazione dell’omessa o irregolare fatturazione (c.d. “autofattura denuncia” di cui all’articolo 6, comma 8, del d.lgs. n. 471 del 1997);
– in riferimento alle operazioni effettuate da soggetti non residenti o non stabiliti, gli acquisti da soggetti extra UE (cfr. l’articolo 17, comma 2, del decreto IVA).
Sono invece riconducibili all’ipotesi sub b), ad esempio:
– il c.d. “autoconsumo”, ossia la destinazione di beni o servizi al consumo personale o familiare dell’imprenditore ovvero ad altre finalità non imprenditoriali;
– le cessioni gratuite di beni la cui produzione o il cui commercio rientra nell’attività propria dell’impresa e di quelli che non vi rientrano se di costo unitario superiore ad euro cinquanta e per i quali sia stata operata, all’atto dell’acquisto o dell’importazione, la detrazione dell’imposta a norma dell’articolo 19 del decreto IVA.
Nelle ipotesi in esame, qualora vi sia l’obbligo di emettere autofattura, la stessa dovrà necessariamente essere elettronica via SdI (con l’unica eccezione delle prestazioni rese da soggetti extra UE, per le quali vale l’adempimento di cui all’articolo 1, comma 3-bis, del d.lgs. n. 127 del 2015 salvo scelta per la fatturazione elettronica via SdI).
Resta ferma, laddove la controparte sia un soggetto escluso dagli obblighi dell’articolo 1, comma 3, del d.lgs. n. 127 del 2015 e non intenda avvalersi della fatturazione elettronica via SdI, la necessità di consegnarle copia analogica (o informatica) del documento, come peraltro prescritto anche da specifiche disposizioni di settore (cfr., ad esempio, l’articolo 34, comma 6, secondo periodo, del decreto IVA, ovvero l’articolo 3, comma 3, del d.m. 30 luglio 2009).>>
Con specifico riferimento, invece, alle regole del reverse charge nell’ambito della seconda ipotesa d’integrazione della fattura da parte dell’acquirente, l’Agenzia delle Entrate, attraverso la citata Circolare n. 14/E del 2020, ha chiarito altresì che:
“Nell’inversione contabile (“reverse charge”), a differenza delle ipotesi di autofattura richiamate nel paragrafo precedente, il cedente/prestatore documenta l’operazione con l’emissione di un documento, senza addebito dell’IVA, che è integrato dal cessionario/committente, il quale provvede all’assolvimento dell’imposta.
Rientrano nella fattispecie in esame specifiche operazioni (cfr. gli articoli 17 e 74 del decreto IVA, nonché l’articolo 46 del d.l. n. 331 del 1993):
a) con l’estero, nelle ipotesi di acquisti da soggetti passivi stabiliti in altri Paesi UE;
b) con soggetti passivi d’imposta residenti o stabiliti in Italia, come, ad esempio, nei casi di cessioni di rottami, bancali in legno, oro da investimento, prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici, ecc. [si rammenta che l’articolo 2, comma 2- bis del d.l. n. 119 ha in ultimo prorogato al 30 giugno 2022 l’applicazione del reverse charge per le fattispecie di cui all’articolo 17, sesto comma, lettere b), c), d-bis), d-ter) e d-quater) del decreto IVA].
Pur a fronte del medesimo iter – in generale, per il cessionario/committente, numerazione ed integrazione della fattura con i dati legislativamente richiesti, nonché annotazione della stessa nei registri IVA – va rilevata la diversa forma della fattura inizialmente ricevuta, che nel caso di reverse charge interno è normalmente elettronica via SdI. Secondo quanto già indicato nella circolare n. 13/E del 2018 (cfr. la risposta al quesito 3.1), ciò comporta che nell’ipotesi di reverse charge interno, e comunque in tutte quelle in cui vi è una fattura elettronica veicolata tramite SdI, a fronte dell’immodificabilità della stessa, il cessionario/committente può – senza procedere alla sua materializzazione analogica e dopo aver predisposto un altro documento, da allegare al file della fattura in questione, contenente sia i dati necessari per l’integrazione sia gli estremi della fattura stessa – inviare tale documento allo SdI, come indicato nel paragrafo 6.4, così da ridurre gli oneri di consultazione e conservazione.
Nei casi di reverse charge esterno, di cui al punto a) precedente, resta comunque fermo l’obbligo comunicativo di cui all’articolo 1, comma 3-bis, del d.lgs. n. 127 del 2015, salvo il caso in cui il fornitore comunitario abbia emesso la fattura elettronica via SdI e quindi con le regole italiane.>>
In sostanza, per quanto riguarda gli acquisti intracomunitari e per gli acquisti di servizi extracomunitari, non sussiste l’obbligo di fatturazione elettronica, bensì quello di trasmissione del cosiddetto esterometro mensile (che consiste nella trasmissione dei dati delle operazioni transfrontaliere).
In ogni caso con la riconfigurazione dell’esterometro, che dal 1° luglio 2022 segue il formato della fattura elettronica via Sdi, l’adempimento della trasmissione dei dati delle operazioni con l’estero e quello dell’inversione contabile dell’Iva si intrecciano ancora di più; tuttavia, anche se possono essere assolti con un unico passaggio informatico, prospettiva vantaggiosa per le imprese più strutturate che provvedono “in house” alle registrazioni Iva, rimangono due adempimenti distinti, gestibili separatamente. Allo stato dell’arte, inoltre, non vi è alcun obbligo di adempiere all’inversione contabile per via elettronica tramite Sdi, essendo ammessa anche la procedura dell’integrazione (o autofatturazione) su supporto cartaceo[5].
Quindi, non vi debbano comunque essere dubbi sul fatto che, anche dopo il 30 giugno 2022, l’adempimento in reverse charge possa rimanere, ai fini IVA, analogico e ben distinto dal flusso elettronico dell’esterometro (pur potendo il secondo assorbire il primo).
Per quanto riguarda, invece, l’obbligo di fatturazione elettronica e le operazioni in reverse charge per acquisti interni, l’invio è facoltativo e non esiste alcun obbligo di inviare l’autofattura al Sistema di Interscambio (c.d. Sdi).
Sul tema, particolarmente rilevanti sono anche le FAQ n. 36 e 38 dell’Agenzia delle Entrate pubblicate il 27 novembre 2018 e aggiornate il 19 luglio 2019 con cui è stato chiarito che: << Per quanto riguarda le operazioni in reverse charge bisogna fare una distinzione di base.
Per gli acquisti intracomunitari e per gli acquisti di servizi extracomunitari, l’operatore IVA residente o stabilito in Italia sarà tenuto ad effettuare l’adempimento della comunicazione dei dati delle fatture d’acquisto ai sensi dell’art. 1, comma 3bis, del d.Lgs. n. 127/15.
Per gli acquisti interni per i quali l’operatore IVA italiano riceve una fattura elettronica riportante la natura “N6” in quanto l’operazione è effettuata in regime di inversione contabile, ai sensi dell’articolo 17 del d.P.R. n. 633/72, l’adempimento contabile previsto dalle disposizioni normative in vigore prevede una “integrazione” della fattura ricevuta con l’aliquota e l’imposta dovuta e la conseguente registrazione della stessa ai sensi degli articoli 23 e 25 del d.P.R. n. 633/72. Al fine di rispettare il dettato normativo, l’Agenzia ha già chiarito con la circolare 13/E del 2 luglio 2018 che una modalità alternativa all’integrazione della fattura possa essere la predisposizione di un altro documento, da allegare al file della fattura in questione, contenente sia i dati necessari per l’integrazione sia gli estremi della stessa. Al riguardo, si evidenzia che tale documento – che per consuetudine viene chiamato “autofattura” poiché contiene i dati tipici di una fattura e, in particolare, l’identificativo IVA dell’operatore che effettua l’integrazione sia nel campo del cedente/prestatore che in quello del cessionario/committente, – non deve essere obbligatoriamente inviato al SdI, ma se l’operatore vuole inviarlo al Sistema di Interscambio e, qualora l’operatore usufruisca del servizio gratuito di conservazione elettronica offerto dall’Agenzia delle entrate, il documento verrà portato automaticamente in conservazione. Inoltre, si ricorda che non vi è alcun obbligo di invio del documento cosiddetto “autofattura” al cedente/prestatore>>.
- ASPETTI SANZIONATORI.
Per ciò che attiene gli aspetti sanzionatoti, occorre chiarire che le eventuali omissioni formali, concernenti l’omessa, intempestiva o irregolare applicazione del meccanismo dell’inversione contabile, se non cagionano alcun pregiudizio alle ragioni erariali, si configurano unicamente come semplici violazioni formali assoggettabili a sanzioni.
Invero, accertate le violazioni o la commissione di questi errori, viene generalmente comminata una sanzione amministrativa che (come vedremo nel proseguo della presente trattazione, a seguito della riforma operata dal D.lgs 158/2015, improntata su un maggior favor) è fissa (da un minimo ad un massimo edittale), a meno che l’Ente accertatore non contesti (e provi) l’intento fraudolento delle parti o un fine evasivo dell’operazione: in tali casi infatti, in luogo dell’applicazione delle sanzioni fisse, torneranno invece applicabili le sanzioni proporzionali, già previste nel regime previgente alla riforma del 2015. Infatti, nell’applicare le sanzioni bisognerà sempre rispettare il principio della proporzionalità, soprattutto se si tratta di violazioni puramente formali che non hanno causato danno erariale allo Stato.
Tanto premesso, occorre ribadire che con il D.lgs 158/2015 (in vigore dal 1˚ gennaio 2016) sono state, quindi, ridefinite le regole che disciplinano il sistema sanzionatorio mediante la riscrittura del comma 9 bis dell’art. 6, del D.Lgs. n. 471/1997 e l’introduzione dei commi 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3.
Orbene, l’art. 6, del D.Lgs. n. 471/1997 tanto prevede:
<< 9-bis. È punito con la sanzione amministrativa compresa fra 500 euro e 20.000 euro il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, omette di porre in essere gli adempimenti connessi all’inversione contabile di cui agli articoli 17, 34, comma 6, secondo periodo, e 74, settimo e ottavo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e agli articoli 46, comma 1, e 47, comma 1, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427. Se l’operazione non risulta dalla contabilità tenuta ai sensi degli articoli 13 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, la sanzione amministrativa è elevata a una misura compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 5, comma 4, e dal comma 6 con riferimento all’imposta che non avrebbe potuto essere detratta dal cessionario o dal committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti si applicano anche nel caso in cui, non avendo adempiuto il cedente o prestatore agli obblighi di fatturazione entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione o avendo emesso una fattura irregolare, il cessionario o committente non informi l’Ufficio competente nei suoi confronti entro il trentesimo giorno successivo, provvedendo entro lo stesso periodo all’emissione di fattura ai sensi dell’articolo 21 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, o alla sua regolarizzazione, e all’assolvimento dell’imposta mediante inversione contabile.
9-bis.1. In deroga al comma 9-bis, primo periodo, qualora, in presenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cedente o prestatore. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cessionario o il committente è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché mediante l’inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole.
9-bis.2. In deroga al comma 1, qualora, in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cessionario o committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cedente o prestatore è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta mediante l’inversione contabile anziché nel modo ordinario è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era consapevole.
9-bis.3. Se il cessionario o committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta ai sensi dell’articolo 26, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. La disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro.>>
Sul punto, si segnala la Circolare n. 16/E del 11 maggio 2017 dell’Agenzia delle Entrate mediante la quale è stato maggiormente chiarito il trattamento sanzionatorio previsto per ogni tipo di violazione in materia di reverse charge, proprio alla luce delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 158/2015.
Più nel dettaglio, sono stati illustrati i campi d’applicazione della disciplina sanzionatoria dell’inversione contabile ed è stato chiarito che secondo un criterio di proporzionalità, ad essere colpite più duramente sono le violazioni commesse con un intento di evasione o di frode oppure che comportano l’occultamento dell’operazione o un debito d’imposta, mentre vengono punite in modo più mite le fattispecie irregolari per le quali l’imposta risulta comunque assolta.
Inoltre, si rileva che seppur le suddette disposizioni siano entrate in vigore dal 1° gennaio 2016, per il principio del favor rei, le nuove regole trovano applicazione anche per le violazioni commesse fino al 31 dicembre 2015, purché non siano stati emessi atti che si sono resi “definitivi” anteriormente al 1° gennaio 2016.
- IL “REVERSE CHARGE” E LE PRONUNCE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
Nel contesto del regime dell’inversione contabile, in un primo momento, si è consolidato il principio sulla scorta del quale il diritto alla detrazione che assicura la neutralità fiscale dall’imposta, deve essere accordato ove ne siano rispettati i requisiti sostanziali e ove – anche – taluni obblighi formali siano stati violati, salvo che da ciò consegua l’effetto d’impedire la prova dell’adempimento dei requisiti sostanziali (Cassazione 4612/2016).
Invero, in maniera conforme, è intervenuta anche la Corte di Giustizia UE, con le sentenze ECOTRADE (EU:C:2008:267) e IDEXX (EU:C-590/13 dell’11 dicembre 2014), mediante le quali sono stati sanciti i seguenti principi:
- secondo costante giurisprudenza della Corte, il diritto spettante ai soggetti passivi di detrarre l’IVA per i beni da essi acquistati e per i servizi da essi ricevuti a monte, costituisce un principio fondamentale attuato dalla normativa dell’Unione Europea;
- il sistema comune dell’IVA garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA;
- per effetto dell’applicazione del regime di autoliquidazione istituito dall’art. 21, paragrafo 1, lett. d), della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio (d. reverse charge), non si verifica alcun versamento dell’IVA tra il venditore e l’acquirente del bene, ove quest’ultimo è debitore, per l’acquisto effettuato, dell’IVA a monte, potendo al tempo stesso, in linea di principio, detrarre la stessa imposta, cosicché nulla è dovuto all’amministrazione finanziaria;
- il suddetto regime di autoliquidazione (v. n. 3) consente agli Stati membri di stabilire le formalità relative alle modalità di esercizio del diritto a detrazione; tuttavia, tali misure non possono andare al di là di quanto necessario per il raggiungimento di tali obiettivi e non devono mai rimettere in discussione la neutralità dell’IVA;
- sempre nell’ambito del suddetto regime di autoliquidazione (v. n. 3) il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’imposta a monte sia sempre accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti e anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi. A tal riguardo si deve precisare che:
- i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono soltanto quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, quali quelli previsti dall’art. 17 della sesta direttiva;
- per contro, i requisiti formali del diritto a detrazione disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo, nonché il corretto funzionamento del sistema dell’IVA quali gli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione; tali requisiti sono contenuti negli articoli 18 e 22 della sesta direttiva;
- in particolare, per quanto riguarda soltanto i requisiti sostanziali è necessario che:
- gli stessi si riferiscano ad acquisti effettuati da un soggetto passivo IVA;
- che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’IVA attinente a tali acquisti;
- che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili;
- che i suddetti requisiti siano accertati dall’Agenzia fiscale (onere della prova), che dispone di tutte le informazioni necessarie per accertare la sussistenza di detti requisiti sostanziali;
In definitiva, il principio sancito in più occasioni dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea in relazione al meccanismo del reverse charge è quello in base al quale le violazioni degli obblighi formali non possono escludere di per sé il diritto alla detrazione del contribuente, pena la violazione del principio di neutralità dell’imposta.
Il sistema comune dell’IVA, infatti, garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA (in tal senso, Corte di Giustizia UE, sentenza TOTH, EU: C: 2012: 549, punto 25 e giurisprudenza ivi citata, nonché FATORIE, C-424/12, EU:C:2014:50, punto 31, e giurisprudenza ivi citata).
Tuttavia, la Corte di giustizia (CGUE 11 novembre 2021, in causa C281/20, Ferimet SL), si è di recente occupata, per la prima volta, della disciplina del reverse charge in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, stabilendo che la direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28/11/2006 (direttiva IVA), letta in combinazione con il principio di neutralità fiscale, dev’essere interpretata nel senso che a un soggetto passivo va negato l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA relativa all’acquisto di beni che gli sono stati ceduti, qualora tale soggetto passivo abbia consapevolmente indicato un fornitore fittizio sulla fattura che egli stesso ha emesso per tale operazione nell’ambito dell’applicazione del regime dell’inversione contabile, se, tenuto conto delle circostanze di fatto e degli elementi forniti da tale soggetto passivo, mancano i dati necessari per verificare che il vero fornitore aveva la qualità di soggetto passivo o se è sufficientemente dimostrato che tale soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s’iscriveva in una simile evasione.
È stato, altresì, evidenziato che, sebbene non sia in contrasto con il diritto della UE esigere che un operatore agisca in buona fede, non è necessario dimostrarne la malafede per negargli il diritto di detrazione (CGUE in causa 281/20, cit., punto 58; conf., CGUE 14 aprile 2021, in causa C-108/20, Finanzamt Wilmersdorf, punti 30 e 31).
Anzi, il fatto che il soggetto passivo che ha emesso la fattura vi abbia consapevolmente menzionato un fornitore fittizio “è un elemento rilevante tale da indicare che il soggetto passivo in questione era cosciente di partecipare a una cessione di beni che si iscriveva in un’evasione dell’IVA” (CGUE in causa C-281/20, cit., punto 53).
Del resto, sul piano generale, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA va negato se mancano i dati necessari per verificare che il fornitore del soggetto che lo invoca abbia la qualità di soggetto passivo (CGUE 9 dicembre 2021, in causa C-154/20, Kemwater Pro Chemie s.r.o., punto 41).
- LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Ai suddetti principi si è uniformata anche la Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.
In particolare, con la sentenza n. 7576/2015, la Corte di Cassazione, riportandosi integralmente ai principi della Corte di Giustizia sul caso IDEXX, ha chiarito e precisato che l’Agenzia delle Entrate dispone di tutte le informazioni necessarie per accertare la sussistenza o meno dei requisiti sostanziali, con la conseguenza che il diritto alla detrazione non può mai essere negato nei casi in cui il contribuente non abbia applicato o non abbia correttamente applicato, la procedura dell’inversione contabile <<avente normalmente natura formale e non sostanziale>>.
Ciò comporta che non bisogna mai compromettere la neutralizzazione bilaterale dell’IVA (come peraltro riconosciuto dalla stessa Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 56/E/2009), nel senso che eventuali inadempienze accertate a carico del contribuente che non hanno generato danni erariali, poiché il risultato fiscale sarebbe stato comunque identico sul piano impositivo per effetto della prevista neutralizzazione bilaterale dell’IVA, non devono mai far cadere il meccanismo del reverse charge.
Sul punto, si segnala l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione TRI civile, 19 maggio 2017, n. 12649, con cui i giudici di legittimità hanno chiarito che:<<Nel sistema dell’inversione contabile denominato “reverse charge“, l’obbligo di autofatturazione e le relative registrazioni assolvono una funzione sostanziale, in quanto, compensandosi a vicenda con l’assunzione del debito avente ad oggetto l’IVA a monte e la successiva detrazione della medesima imposta a valle, comportano che non permanga alcun debito nei confronti dell’Amministrazione, e consentono i controlli e gli accertamenti fiscali sulle cessioni successive; ne consegue che, in tal caso, ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA da parte dell’amministrazione finanziaria, è ammessa anche la prova mediante presunzioni, gravi, precise e concordanti, con conseguente inversione dell’onere probatorio sul contribuente>>.
I giudici di legittimità si sono espressi in maniera conforme anche con la recente ordinanza, 30 gennaio 2018, n. 2266, con cui è stato ribadito che:<< … secondo gli insegnamenti in materia della Corte di Giustizia (v. fra le altre Corte di Giustizia 8 maggio 2008, in cause riunite C-95/07 e C-96/07), il diritto di detrazione e’ connesso alla effettivita’ dell’operazione (requisito sostanziale) e non puo’ essere subordinato al rispetto di adempimenti od obblighi meramente formali; con la conseguenza che se l’Autorita’ fiscale dispone gia’ delle informazioni necessarie per dimostrare che il cessionario/committente, in quanto destinatario delle operazioni soggette a reverse charge, e’ il debitore d’imposta e che l’operazione e’ effettivamente stata realizzata, risulta irrilevante la circostanza che il debitore d’imposta abbia ricevuto e registrato la fattura emessa dal fornitore nella contabilita’ generale senza aver proceduto agli adempimenti ai fini Iva (integrazione della fattura o autofattura)>>.
In altre parole, se l’operazione non è stata occultata e se l’Amministrazione fiscale non ha trovato ostacoli nella sua ricostruzione, l’infrazione è formale e, dunque, la detrazione non può essere negata al soggetto passivo, poiché il risultato fiscale finale sarebbe stato comunque identico sul piano impositivo per effetto della prevista neutralizzazione bilaterale dell’Iva (Cass. 7576/2015). Peraltro, secondo i Supremi giudici, il riconoscimento del diritto di detrazione, al di là dell’eventuale inosservanza di fatturazioni e registrazioni, non conduce a considerare nello stesso tempo la violazione del reverse charge violazione meramente formale e come tale non punibile in base alla L. n. 212 del 2000, articolo 10, (Cass. 7576/2015; Cass. n. 9505/2017).
Alla luce di tanto, occorre, però, rilevare che, in tema di reverse charge e operazioni inesistenti, sta prendendo forma un diverso orientamento giurisprudenziale certamente sfavorevole per il contribuente. Invero, secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, già manifestato con la sentenza 17/01/2018, n. 958, in caso di operazioni imponibili soggettivamente inesistenti, compiute in regime di reverse charge, l’Amministrazione finanziaria può legittimamente operare il recupero delle detrazioni Iva. A parere dei giudici di legittimità, infatti, in presenza di operazioni inesistenti, il concessionario in regime di reverse charge perde comunque il diritto alla detrazione stante l’applicazione al caso di specie dell’art. 6,co.9-bis3, d.lgs 471/1997, in base al quale, se il cessionario o il committente applica il reverse charge per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito che la detrazione registrati nelle liquidazioni Iva. Secondo la Corte di Cassazione, questa regola varrebbe anche nelle ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta (e non in caso di operazioni soggettivamente inesistenti imponibili). Solo in queste ipotesi, a parere della Corte di Cassazione – sentenza 17/01/2018, n. 958 – l’Ufficio fiscale può disconoscere e recuperare la detrazione Iva.
Si segnala anche la recente ordinanza della Corte di Cassazione, 31 gennaio 2019, n. 2862, con cui è stato statuito che in tema d’IVA, le operazioni di cessione compiute in regime d’inversione contabile, ancorché effettuate sotto l’apparente osservanza dei requisiti formali, sono indetraibili in caso di violazione degli obblighi sostanziali, ove venga meno la corrispondenza, anche soggettiva, dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata, con conseguente inesistenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta indicata in fattura (nello specifico, il caso oggetto della suddetta pronuncia riguardava una fattispecie relativa ad operazioni di cessione di rottami, qualificate come soggettivamente inesistenti in quanto rese da una mera cartiera).
Da ultimo, in maniera conforme, si segnala l’ordinanza della Corte di Cassazione 10 febbraio 2022, n. 4250 che in tema di IVA, e con riguardo al regime del “reverse charge”, in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia della UE, i giudici di legittimità hanno disposto che il diritto di detrazione dell’imposta relativa ad un’operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario:
a) abbia egli stesso commesso un’evasione dell’IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione s’iscriveva in una simile evasione;
b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA.
In altri termini, i giudici di legittimità, con la suddetta pronuncia hanno chiarito che: “in piena coerenza con quanto affermato dalla Corte di giustizia, l’orientamento consolidato della S.C. è nel senso che l’IVA non è detraibile, ancorché risulti l’apparente osservanza dei requisiti formali, ove manchi la corrispondenza dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata; e ciò anche nel caso di applicazione del regime dell’inversione contabile (Cass. n. 16679 del 09/08/2016; Cass. n. 2862 del 31/01/2019; Cass. n. 3599 del 13/02/2020; Cass. n. 14853 del 13/07/2020; Cass. n. 16367 del 30/07/2020; Cass. n. 21677 del 08/10/2020; Cass. n. 9394 del 09/04/2021);
2.10. tale assenza di coincidenza tra requisiti formali (regolarità della fattura, nella quale il cedente è apparentemente un soggetto passivo IVA) e requisiti sostanziali (mancata corrispondenza tra l’effettivo fornitore, che potrebbe non essere un soggetto passivo IVA, e il cedente indicato in fattura) si verifica in maniera evidente nel caso in esame, in cui, come emerge dalla sentenza impugnata, la contribuente ha emesso autofatture ai fini della detrazione dell’IVA, indicando consapevolmente nelle stesse un soggetto passivo del quale ben conosceva la fittizieta’, in ragione dei molteplici elementi indiziari sopra riferiti al § 2.3, e senza che vi siano elementi per individuare il vero fornitore ed affermare che lo stesso sia un soggetto IVA;
2.10.1. in un’ipotesi siffatta, pertanto, non rileva tanto la (piu’ generale) conoscenza della frode IVA che, secondo quanto affermato dalla CTR, sarebbe stata perpetrata dalla capogruppo (OMISSIS) s.p.a. ovvero la partecipazione o conoscenza di tale disegno criminoso da parte di (OMISSIS) s.r.l., essendo, invece, rilevante la conoscenza, da parte della societa’ contribuente, della inesistenza del soggetto passivo (fornitore) indicato in fattura e la mancanza di elementi idonei ad individuare l’effettivo fornitore quale soggetto passivo IVA;
2.11. va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di IVA, e con riguardo al regime del reverse charge o inversione contabile, in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia della UE, il diritto di detrazione dell’imposta relativa ad un’operazione di cessione di beni non puo’ essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario: a) abbia egli stesso commesso un’evasione dell’IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione s’iscriveva in una simile evasione; b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA”.
Lecce, 20.07.2022
Avv. Maurizio Villani
Avv. Federica Attanasi
[1] La presente lettera è stata aggiunta dall’art. 4, comma 3, D.L. 26.10.2019, n. 124 con decorrenza dal 27.10.2019, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, L. 19.12.2019, n. 157, con decorrenza dal 25.12.2019; ai sensi del successivo comma 4 l’efficacia della disposizione modificata è subordinata al rilascio, da parte del Consiglio dell’Unione europea, dell’autorizzazione di una misura di deroga ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006. Ebbene la Commissione UE, tramite il documento COM (2020) 243 final del 22 giugno 2020 trasmesso al Consiglio, ha negato all’Italia l’applicazione del meccanismo del reverse charge per le prestazioni di servizi nell’ambito di appalti e subappalti con prevalente utilizzo di manodopera, introdotto dall’art. 4, comma 3 del D.L. 124/2019.
[2] La presente lettera è stata abrogata dall’art. 1, D.Lgs. 11.02.2016, n. 24 con decorrenza dal 03.03.2016.
[3] La presente lettera è stata abrogata dall’art. 1, D.Lgs. 11.02.2016, n. 24 con decorrenza dal 03.03.2016.
[4] Il presente comma, aggiunto dall’art. 1, D.Lgs. 11.02.2016, n. 24 con decorrenza dal 03.03.2016, è stato poi così modificato prima dall’art. 2, comma 2 bis, D.L. 23.10.2018, n. 119, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, L. 17.12.2018, n. 136 con decorrenza dal 19.12.2018, e poi dall’art. 22, D.L. 21.06.2022, n. 73 con decorrenza dal 22.06.2022.
[5] Crf. Franco Ricca, “Trasmissione delle operazioni e reverse charge separati in casa”, Italia Oggi del 11/07/2022