La questione inerisce l’interpretazione dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 (c.d. Statuto dei Diritti del Contribuente), ed in particolare se necessiti la c.d. «prova di resistenza» da parte del contribuente al fine di ritenere illegittimo il provvedimento impositivo, in materia di tributi armonizzati (nei quali rientra l’iva), emesso all’esito di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività.
La Corte di Cassazione (Sezioni Unite, sentenza del 29/07/2013, n. 18184), ha chiarito che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus.
Ciò in quanto trattasi di termine posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.
Il vizio invalidante, come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza deve essere provata dall’ufficio fiscale.
Successivamente, la Corte di Cassazione (Sezioni Unite, sentenza del 09/12/2015, n. 24823) ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi «armonizzati», mentre, per quelli «non armonizzati», non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.
Non sussiste, poi, alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. «a tavolino».
Premesso il quadro normativo di riferimento, la Corte di Cassazione ha ritenuto di dare continuità ai principi di recente sanciti dalla Sezione 5 (Cass. sez. 5, sentenza del 15/01/2019, n. 701, e Cass. sez. 5, sentenza del 15/01/2019, n. 702), alla luce di una lettura dei citati approdi delle Sezioni Unite nel quadro costituzionale ed eurounitario di riferimento e, quindi, in applicazione dei due principi cardine del diritto comunitario regolanti il diritto fondamentale al contraddittorio endoprocedimentale.
Tali sono il principio di equivalenza, in virtù del quale le modalità previste per l’applicazione del tributo armonizzato non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi per tributi di natura interna, ed il principio di effettività, non dovendo la disciplina nazionale rendere in concreto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, derivandone che il contribuente deve essere posto nelle condizioni di esercitare il contraddittorio (si vedano: CGUE 18 dicembre 2008 C-349/07 Sopropé – Organizagòes de Calçado Lda contro Fazenda Pública; CGUE 3 luglio 2014 C-129 e 130/13 Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financién, § 75; CGUE 8 marzo 2017, Euro Park Service C-14/16 § 36, in materia di rimborsi; CGUE 9 novembre 2017, Ispas C-298/16 §§ 30,31, resa proprio sull’IVA; CGUE 20 dicembre 2017, Preqù Italia srl C-276/16, § 45 sul diritto al contraddittorio in materia doganale).
Orbene, proprio dando continuità ai principi giurisprudenziali sopra esposti, ai fini dell’interpretazione dell’art. 12, comma 7, in oggetto, la Corte di Cassazione ha osservato, in primo luogo, che la norma non a caso non distingue tra tributi armonizzati e non.
In via generale, infatti, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria espressa di nullità dell’atto impositivo nel caso di mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria, a far data dalla conclusione delle operazioni di controllo.
Tale disciplina nazionale, quindi, già a monte, ingloba la «prova di resistenza», nel pieno rispetto della giurisprudenza della CGUE (Kamino, cit., § 80; Sopropè, cit., § 37).
Siffatta interpretazione è al tempo stesso rispettosa anche dei principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale civile, amministrativo e tributario, secondo cui la regola della strumentalità delle forme, ai fini del rispetto del contradditorio, viene meno in presenza di un’espressa sanzione di nullità comminata dalla legge per la violazione in questione.
In secondo luogo, coerentemente con quanto precede, è stato dalla Corte di Cassazione evidenziato che l’operatività della «prova di resistenza», di cui alle citate Sezioni Unite del 2015, non può che essere circoscritta al caso di assenza di un’espressa previsione del legislatore nazionale di nullità per violazione del contraddittorio.
Solo in assenza di un’espressa sanzione di nullità introdotta dal legislatore per il caso di violazione del contraddittorio, vi può difatti essere spazio per il giudice affinché possa operare una valutazione ex post, caso per caso, sull’intervenuto rispetto del contraddittorio o meno.
A quanto innanzi si è aggiunta, quale ulteriore logica conseguenza, che, anche per i tributi armonizzati, scatta la prova di resistenza ai fini del contraddittorio endoprocedimentale nel solo caso in cui la normativa interna non preveda la sanzione della nullità.
Specularmente, ove il legislatore già preveda tale sanzione non opera il riferimento alla prova di resistenza.
In conclusione, ai fini delle imposte armonizzate, la prova di resistenza non si deve applicare nelle tre ipotesi in cui nei confronti del contribuente sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, dovendosi applicare solo nel caso di verifiche a tavolino (Corte di Cassazione – Sezione 5 Civile – sentenza n. 22644, depositata l’11 settembre 2019).
Ne consegue in definitiva che l’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 effettua, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio già operata dal legislatore, attraverso la previsione espressa di una nullità per mancato rispetto del termine dilatorio che già, a monte, ingloba la «prova di resistenza», sia con riferimento ai tributi armonizzati che in ordine a quelli non armonizzati (non effettuando la norma alcuna distinzione in merito alle conseguenze sanzionatorie).
Sicché, anche per i tributi armonizzati, tra i quali l’iva, scatta la prova di resistenza, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, solo nel caso di mancata previsione da parte della normativa interna della sanzione della nullità, invece prevista dal citato art. 12, comma 7, per l’ipotesi della violazione del termine dilatorio.
Lecce, 20 giugno 2020
AVV. MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione
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