La Corte di Cassazione, in tema di agevolazione ICI del fondo agricolo, ha stabilito il seguente costante principio di diritto:
“In tema di agevolazione ai .fini ICI, la qualità agricola di un terreno pur potenzialmente edificabile, posseduto e condotto da uno dei comproprietari avente i requisiti soggettivi e oggettivi di cui agli artt. 2, comma 1, lett. b), e 9, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992, trova applicazione anche in favore degli altri comproprietari che non esercitano sul fondo l’attività agricola, in quanto la destinazione agricola di un’area è incompatibile con la possibilità dello sfruttamento edilizio della stessa”. (Cass. 25/05/2017, n. 13261 e 30/06/2010, n. 15566; conf. Cass. 27/10/2017, n. 25596; 27/09/2017, n. 22486; 05/07/2011, n. 14824; 29/07/2011, n. 16636; 03/07/2018 n. 17337).
I diversi precedenti di legittimità, riguardando casi diversi, quali il comodato al figlio o l’affitto a terzi, non resistono ad un corretto esame “distintivo”, perché essi colgono vicende civilisticamente e fiscalmente diverse rispetto alla coltivazione diretta da parte del comproprietario, il quale può servirsi della cosa comune nei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., anche nell’interesse di tutti, senza che il fatto che i comunisti possano regolare i loro interessi per via negoziale, possa avere un rilievo di per se stesso decisivo.
Più in dettaglio la Corte di Cassazione ha chiarito, riguardo all’approdo ermeneutico qui condiviso, che
“Tale conclusione si impone … in forza di una interpretazione letterale e sistematica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b). Ai sensi di questa disposizione, infatti, un terreno, pur suscettibile di utilizzazione edificatoria, deve considerarsi agricolo, ai fini della applicazione dell’imposta, laddove ricorrano tre condizioni:
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il possesso dello stesso da parte di coltivatori diretti o di imprenditori agricoli a titolo principale;
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la diretta conduzione del medesimo da parte dei predetti soggetti;
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la persistenza dell’utilizzazione agro-silvo-pastorale, mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione.” (Cass. n. 15566/10, cit.).
Ne deriva che, “Ricorrendo tali presupposti, il terreno soggiace all’imposta in relazione al suo valore catastale, dovendosi prescindere dalla sua obiettiva potenzialità edilizia. La considerazione, in questi casi, dell’area come terreno agricolo ha quindi carattere oggettivo e, come tale, si estende a ciascuno dei contitolari dei diritti dominicali. Ciò in quanto la persistenza della destinazione del fondo a scopo agricolo integra una situazione incompatibile con la possibilità del suo sfruttamento edilizio e tale incompatibilità, avendo carattere oggettivo, vale sia per il comproprietario coltivatore diretto che per gli altri comunisti.” (sent. ult. cit.).
Una diversa soluzione, in realtà, confonde e sovrappone l’applicazione di due norme che, nonostante talune interferenze, disciplinano situazioni diverse: quella di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), che ha riguardo alla qualificazione dell’area ai fini del criterio del calcolo della base imponibile (art. 5 del decreto citato) ed ha carattere oggettivo, e quella di cui all’art. 9 dello stesso decreto, che invece introduce agevolazioni di carattere soggettivo ai fini del calcolo dell’imposta in concreto applicabile. Evidente del resto la relatività cui condurrebbe la conclusione criticata, che, in caso di comunione, porterebbe a qualificare un medesimo bene nello stesso tempo come edificabile ovvero come agricolo a seconda della qualità soggettiva dei contribuenti.
Quando il terreno è interamente posseduto e condotto, esercitandovi pacificamente attività agricola, da un soggetto che ne è comproprietario e che possiede i requisiti di cui al comma 1 dell’art. 9 del d.lgs. n. 504/92 l’agevolazione fiscale, essendo correlata a un requisito, lo svolgimento di attività agricola, che è incompatibile con la possibilità di sfruttamento edificatorio dell’area, si riflette anche a favore degli altri comproprietari, i quali, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., non possono alterare la destinazione del fondo che è finalizzata all’esercizio dell’attività agricola da parte di un coltivatore diretto dimodoché, gli stessi, si trovano in una situazione d’impossibilità di sfruttamento edificatorio dell’area.
L’obbligo di non modificare il bene comune, cioè di non ostacolarne il godimento da parte di tutti i comunisti secondo l’originaria funzione del bene stesso, ovviamente, vale anche in presenza di accordo unanime, assembleare o negoziale, ovvero contrattuale in presenza, ad esempio, di patto d’affitto.
Sicché, ogniqualvolta sia stabilito uno sfruttamento “turnario” ovvero esclusivo a tempo determinato, col consenso unanime dei comunisti, si realizza un accordo con efficacia obbligatoria, che, nel corso della sua esecuzione, comporta per il comunista assegnatario l’esclusiva disponibilità del bene, senza interferenza degli altri comunisti concedenti, ma pur sempre nel rispetto della destinazione della cosa.
Il che, in disparte il piano civilistico, ricade sull’imposizione fiscale, nei termini indicati dalla richiamata giurisprudenza, atteso il sopra definito presupposto dell’imposta in esame.
AVV. MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce